L'Approccio Terapeutico alle malattie autoimmuni         
 


L'APPROCCIO TERAPEUTICO ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI

Le malattie autoimmuni comprendono un insieme di condizioni morbose, influenzate da fattori genetici, specifici e non, e da una pletora di fattori ambientali - variabili sia da paziente a paziente sia nel corso della malattia -, in grado di scatenarle e di modificarne l'andamento. Il loro trattamento - già di per sè impegnativo - è reso ulteriormente complicato dal fatto che la risposta a un certo farmaco può variare tra un paziente e l'altro, sia per fattori farmacogenetici, sia per l'influenza di fattori esterni come ad esempio l'alcool e il tabacco. Può così accadere che in un paziente con artrite reumatoide si ottenga una buona risposta terapeutica con il methotrexate e non con la leflunomide, mentre in un altro può avvenire esattamente l'opposto. Di fronte a malattie tanto proteiformi, differenti da un paziente all'altro e soggette a variazioni nel tempo, non ci si può aspettare che un regime terapeutico rigido risulti efficace. Al contrario, tali condizioni richiedono un approccio terapeutico realmente personalizzato, con un trattamento flessibile da modificare secondo le variazioni di attività della malattia. Questo è possibile solo con una partecipazione attiva del paziente. Tra questo e il medico deve instaurarsi una "joint-venture" a lunga scadenza, considerato che la maggior parte delle malattie autoimmuni ha un decorso cronico. L'obiettivo primario del trattamento è il controllo a lungo termine della malattia, con una buona qualità di vita e una minima tossicità da farmaci. Ecco alcune regole generali:

1. Intervento precoce nel percorso della malattia
Nella maggioranza delle malattie autoimmuni sistemiche, il primo segno clinico è l'estensione del contatto della polpa bianca della milza con la parete toraco-addominale. La valutazione della milza è di primaria importanza per una diagnosi precoce! I danni tessutali precoci, ad esempio nell'artrite reumatoide, sono quelli più facilmente rimediabili. Lo scopo è di evitare l'espansione clonale dei linfociti.

2. Flessibilità del trattamento
Nessuna cura è quella giusta per sempre. Si deve essere sempre pronti ad aggiustare l'intensità del trattamento secondo l'attività della malattia.

3. Evitare i protocolli rigidi
Uno schema terapeutico rigido comporta un doppio rischio: quello della tossicità da eccesso nell'uso dei farmaci, e viceversa il pericolo di permettere alla malattia di progredire nel caso opposto. Se il percorso della malattia è per definizione variabile, altrettanto deve valere per la risposta terapeutica.

4. Coinvolgimento del paziente
I pazienti vogliono e devono conoscere la patogenesi della loro malattia per accettare un trattamento complesso e di durata non prevedibile, e anche per prevenire una ricaduta, ad esempio dopo una malattia intercorrente o nel caso di un intervento chirurgico.



SELEZIONE DEI FARMACI

Trent'anni fa il medico non aveva molta scelta: il cortisone era l'unico farmaco efficace. Gradualmente, il numero di composti immunomodulanti è cresciuto, arrivando oggi a contare oltre venti diversi agenti. Questo sviluppo ha permesso ai clinici di poter applicare trattamenti quasi su misura, combinando farmaci con differenti meccanismi d'azione, allo scopo di potenziare la qualità della terapia senza contemporaneamente aumentarne la tossicità. Quelli brevemente descritti di seguito sono tutti agenti di dimostrata efficacia nei disturbi autoimmuni. Si badi bene però che una cosa sono le caratteristiche di ogni singola molecola, tutt'altra cosa è la sua validità, utilità e sicurezza nell'ambito di un progetto terapeutico, che è specifico e differente da caso a caso. Dunque non è soltanto importante la scelta dei farmaci da utilizzare - che può anche variare, con pari efficacia, a seconda dell'esperienza del clinico e dell'evoluzione della malattia - quanto la congruenza del trattamento nel suo insieme, che deve sempre corrispondere a criteri appropriati per un preciso obiettivo terapeutico.


FARMACI IMMUNOMODULANTI

Abbreviazioni dei farmaci citati:

ASA Acido acetilsalicilicoLefLeflunomide
AZA Azatioprina MM Micofenolato mofetile
CsA Ciclosporina A MP Metilprednisolone
Cy Ciclofosfamide 6MP 6-mercaptopurina
DP D-penicillamina MTX Methotrexate
DXM Desametasone P Prednisone
HCQ Idrossiclorochina SSZ Sulfasalazina
Ig Immunoglobuline Th Talidomide




A. Farmaci di prima linea.

Riuniamo in questo gruppo le molecole più importanti, che normalmente rappresentano la prima scelta nella strategia terapeutica della maggioranza dei disturbi autoimmuni. Utili - con differenti sfumature - sia per l'induzione che nel mantenimento della remissione, si contraddistinguono per efficacia, sicurezza e tollerabilità. Possono pertanto considerarsi la base della polifarmacoterapia per le malattie autoimmuni.

Corticosteroidi.
Croce e delizia per medici e pazienti fin dagli albori della reumatologia, usati quasi sempre in modo incongruo, a dispetto dei moniti esondanti da opuscoli, trattati e manuali di ogni branca della Medicina, rappresentano da soli una cospicua fetta di tutto quello che può sintetizzarsi nel concetto di patologia iatrogena. Non si sbaglia di molto ad affermare che il cortisone abbia ucciso più pazienti di quanti ne abbia salvato. Ma nonostante tutto, se usati con criterio, i glucocorticoidi sono ancora oggi un'arma straordinaria per il clinico immunologo. La duplice anima di queste sostanze, discreti immunomodulanti da un lato, antiinfiammatori potenti dall'altro, le rende idonee - in piccole dosi orali refratte - ai trattamenti di mantenimento di lungo periodo, e insostituibili - a dosi elevate in bolo venoso - per la terapia d'attacco e per il controllo delle manifestazioni più acute di numerose malattie autoimmuni. L'avvento dei nuovi farmaci immunospecifici ha modificato solo in parte questi concetti, che conservano in larga misura la propria validità. Gli effetti tossici di questi farmaci producono sindrome di Cushing, osteoporosi, necrosi asettica dell'osso, cataratta e glaucoma, aumentata suscettibilità alle infezioni, arresto dell'accrescimento nei bambini e soppressione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene con conseguente corticodipendenza. I cortisonici sono tutti uguali - a dosi equivalenti - per la potenza antinfiammatoria. Differiscono invece di molto per la tossicità intrinseca, dovuta all'emivita, cioè al tempo di esposizione al farmaco, e a effetti ormonali" residui", soprattutto quello mineralcorticoide, presente in alcune molecole, che provoca ritenzione idrica e ipertensione. In linea generale, per la somministrazione orale vanno preferiti composti a emivita più breve quali fluocortolone e clorprednol, per quella parenterale il metilprednisolone è in generale il farmaco di scelta. Quella del cortisonici è una tossicità cronica, che si determina nel tempo col susseguirsi delle dosi. Per tale motivo sono di fondamentale importanza, in trattamenti di lungo periodo, le pause tra una dose e l'altra, per conservare la funzionalità dei surreni e l'omeostasi endocrina generale (1). Nessuna malattia, di nessuna gravità, giustifica il cortisone quotidiano. Quando è necessaria - come spesso accade - una dose elevata di steroide, va scelta senz'altro la via parenterale, per endovena (quella intramuscolare è pericolosa, per il rischio di ascessi e atrofia). Per maggiore chiarezza: una singola dose endovenosa, anche di grammi, ha una tossicità minima per il paziente. Di contro, anche pochi milligrammi dati quotidianamente possono essere letali. I corticosteroidi parenterali sono insostituibili nella terapia associata di forme autoimmuni acute quali ad esempio pericarditi, pleuriti, glomerulonefriti, poussèes di neuropatie demielinizzanti, trombocitopenie.

Ciclosporina.
Sulla ciclosporina ci sono pochi dubbi: è il più importante farmaco immunomodulante mai creato. Introdotta nei primi anni '80 come preparato anti-rigetto, la sua efficacia permise lo sviluppo della medicina dei trapianti, come oggi la conosciamo. Da subito le peculiari caratteristiche del farmaco attirarono l'attenzione di clinici illuminati come P.A. Miescher, che per primo la utilizzo come immunomodulante non specifico per una determinata malattia. La CsA inibisce spiccatamente la funzione dei T-linfociti, limitando l'espansione clonale di questi elementi, di importanza basilare nel complesso della risposta immune e nella patologia autoimmune. Indispensabile nel trattamento di disturbi come Sjögren, psoriasi, alopecia, uveite, è un farmaco a cui è difficile rinunciare nella strategia terapeutica di qualsiasi malattia autoimmune. In genere ottimamente tollerata, può essere assunta per molti anni senza effetti collaterali dalla maggior parte dei pazienti, a condizione che questi mantengano sempre un buon livello di idratazione. Nefrotossicità e ipertensione arteriosa - seppur pienamente reversibili con la sospensione del trattamento - sono gli effetti collaterali che per lo più possono limitarne l'uso. Altro effetto spiacevole seppure innocuo è lo stimolo dei bulbi piliferi, causa di irsutismo che può mettere psicologicamente in crisi i pazienti del gentil sesso. Fenomeno collaterale ancora di frequente riscontro è la neuropatia periferica, causa di parestesie e di turbe del termotatto delle estremità. Fortunatamente, quando compaiono, gli effetti collaterali della CsA possono essere contrastati in modo efficace, e solo in rari casi obbligano alla discontinuazione del farmaco. In tale evenienza. il tacrolimus - altro composto anti-calcineurinico - rappresenta una valida alternativa. Sul piano farmacodinamico, la CsA forma nei linfociti T un complesso con la ciclofillina, che si lega alla calcineurina inibendone la funzione di stimolo della sintesi di IL-2 e del suo recettore. Conseguentemente, anche la funzione dei linfociti B viene indebolita. Disponibile in capsule e in sciroppo, si assume a stomaco pieno in due dosi quotidiane, con un intervallo che consenta di mantenere il tasso ematico del farmaco quanto più costante possibile, in genere per 5-6 giorni la settimana. Tra i tanti pregi, la CsA ha quello di essere compatibile con la gravidanza, caratteristica che ha consentito a tantissime pazienti una maternità senza complicanze.

Methotrexate.
Introdotto per la prima volta negli anni '60 nel trattamento delle collagenopatie da P.A. Miescher, che trattò con successo una paziente con LES febbrile, dopo averne sperimentato la superiorità sulla 6-MP nella tiroidite autoimmune sperimentale delle cavie (2), insieme a corticosteroidi e ciclosporina il MTX rappresenta il terzo pilastro della terapia immunomodulante. Attivo su tutte e tre le linee cellulari coinvolte nella risposta immune, è efficace pressochè in tutti i disturbi autoimmuni e ottimamente tollerato dalla maggioranza dei pazienti. Antimetabolita dei folati, va somministrato per via parenterale, normalmente alla dose di 15 mg, associato a un'integrazione di acido folico, che aiuta a prevenirne gli effetti tossici. Essendo la tossicità proporzionale al tempo di permanenza nell'organismo, una volta somministrato si invita il paziente a bere molti liquidi, per consertirne l'eliminazione quanto più rapidamente possibile. Nel rispetto di questi criteri, e con le opportune pause, il farmaco può - nella maggior parte dei casi - essere assunto per anni senza problemi (3). Oltre che per via generale, è utilizzabile - associato al desametazone - per trattamenti locali, come quello intratecale nella sclerosi multipla o l'infiltrazione endoarticolare nelle artriti refrattarie.


B. Altri farmaci immunomodulanti.

Sono tutti principi di provata efficacia, da utilizzare - in genere associati ai prodotti di prima linea - nelle condizioni morbose in cui trovano la migliore indicazione, e secondo le peculiarità dei singoli pazienti.

Tacrolimus.
Sirolimus e Everolimus.
Micofenolato mofetile.
Idrossiclorochina.
Leflunomide.
D-penicillamina.
Talidomide.
Sulfasalazina e mesalazina.
6-mercaptopurina e azatioprina.
Ciclofosfamide.
Colchicina
Levamisolo
Fingolimod


C. Immunospecifici.

Rappresentano la nuova frontiera dei trattamenti immunomodulanti. Noti comunemente con l'infelice denominazione di "biologici" (termine accattivante ma assolutamente inappropriato, pretestuosamente giustificato dal fatto che mimerebbero la funzione di molecole immunologiche naturali), sono in realtà anticorpi monoclonali del tutto artificiali, sovente chimerici, concepiti per bloccare determinati punti critici della risposta immune. Estremamente efficaci grazie all'intrinseca specificità del meccanismo d'azione, potrebbero in effetti rappresentare un reale progresso nel trattamento delle malattie autoimmuni. Il loro utilizzo è oggettivamente limitato dal prezzo elevatissimo - non è dato sapere fino a che punto giustificato dai costi di produzione - e soprattutto dal fatto che tutte queste sostanze sono rigidamente ingabbiate all'interno di protocolli di somministrazione rigidissimi, dettati dalle cosiddette "linee guida internazionali", che altro non sono che le indicazioni dei fabbricanti. Il meccanismo d'azione che li rende tanto efficaci rappresenta anche il maggiore limite per l'utilizzo degli immunospecifici. La risposta immune è indispensabile per la sopravvivenza. Bloccarne farmacologicamente un punto critico può essere molto rischioso. Di qui la necessità di adottare rigorosi criteri di prudenza nei trattamenti con questi farmaci. Le terapie devono protrarsi per il minor tempo possibile, e gli intervalli tra le dosi vanno calcolati in modo da garantire la massima sicurezza per il paziente. La mancata osservanza di queste semplici regole ci ha già privato di un eccellente prodotto, qual'era l'efalizumab, messo al bando dalle autorità sanitarie europee a causa di gravi effetti collaterali, causati da modelli di impiego incongrui con le caratteristiche del farmaco. In generale, gli anti-TNFα offrono margini di sicurezza più ampi, laddove inibitori di funzioni più critiche, come natalizumab, efalizumab e lo stesso rituximab, impongono maggiori cautele.

Etanercept
Infliximab
Adalimumab
Daclizumab
Anakinra
Rituximab
Efalizumab
Natalizumab
Tocilizumab
Abatacept